Mario Rigoni Stern - La calcara






Mario Rigoni Stern - La calcara

"" Oltre alle tracce delle carbonaie e dei baiti dei carbonai che arrivano fino ai limiti della vegetazione arborea, uno che gira le montagne e le osserva nel paesaggio e nei segni lasciati dagli interventi dell’uomo, può notare anche dei manufatti di cui, forse, non sa rendersi ragione: sono delle costruzioni cilindriche a cielo aperto alte tra i tre e i sei metri, dal diametro di quattro o cinque passi, completamente vuote e senza segni di travature o di malte o di mensole per suppellettili; una bassa apertura ad arco fa d’entrata e i sassi della costruzione a secco hanno nell’interno un colore brunastro che li fa distinguere da tutti gli altri intorno.

Di solito questi edifici sorgono al confluire dei sentieri al limite dei boschi in declivio, o dove si chiude una piccola valle, o sovrastanti una strada; di comune a tutti c'è però la relativa facilità d'accesso: quanto meno una carrareccia, e una specie di piano inclinato o un terrapieno che raccorda la sommità al pendio a monte. Non si tratta di stalle o di ricoveri per le persone, né di case dei tempi remoti, ma semplicemente delle calcare dove si cucinavano i sassi per fare la calce.
Si usavano fino a una trentina di anni fa, non secoli, e la calce che veniva qui rusticamente prodotta servita anche a ricostruire le case d'Italia disastrate dalla guerra, e i paesi delle Alpi bruciati per rappresaglia dai tedeschi durante la lotta partigiana.

Avvenne che proprio in questi mesi, nel 1945, ritornata la pace e restando tanto da ricostruire, si unirono insieme gruppi di compaesani ex partigiani o reduci scalcagnati che ancora avevano un po’ di forza e tanta volontà da lavorare, e nei boschi si misero a raccogliere la ramaglia rimasta sul letto di caduta dopo i tagli degli alberi, e legarla a fasci con rami verdi d’abete e farne grandi cataste mentre altri della squadra esperti in muratura provvedevano a costruire la calcara.

Terminato l'edificio circolare, che aveva l'aspetto di una piccola torre senza merlature e feritoie, bisognava raccogliere e trasportare nei pressi, con le slitte a mano, grandi quantità di sassi provenienti dalle rocce sedimentarie contenenti una buona quantità di calcite, a centinaia di quintali, e poi posarli in ordine e con arte particolare dentro il cilindro costruito con le pietre che faceva da forno di cottura.

Si partiva dalla base posando attorno alla circonferenza le pietre più piccole e regolari come piano d’imposta e, sempre con le pietre scelte con arte ma aumentando progressivamente la misura, si provvedeva a costruire la cupola che poi si chiudeva al centro con i sassi più grossi incastrati a chiave di volta: il vuoto che restava sotto, di qualche metro cubo, era poi il fornello di combustione. Lo spazio che restava sopra, lungo tutto il cilindro e i cui interstizi esterni tra pietra e pietra venivano chiusi con creta, si riempiva di sassi calcari che non dovevano essere buttati giù a casaccio ma disposti in modo che tra l'uno e l’altro rimanessero dei vuoti per far passare il calore e permettere l’evaporazione e, anche, l'uno con l'altro tenuti come cunei in mutuo contrasto, in modo da non far crollare la massa durante la trasformazione per calore.

Arrivati in cima si procedeva a coprire l'ultimo strato di sassi con uno di creta; e sotto accendeva il fuoco che per cinque o sei giorni doveva durare ininterrotto e forte. Per provvedere alla sua fame di legna si trascinavano giù dai ripidi sentieri le centinaia e centinaia di fascine che venivano caricate nove alla volta sulle slitte storte, attrezzi tutti in legno con la base di carico molto bassa le cui stanghe per il tiro erano rami vivi incorporati nei pattini. Ma per la scomodità e la distanza certe volte non si riusciva a fare più di cinque o sei viaggi tra l’alba e il tramonto, e quasi senza soste.
Una sera un gruppo di amici, stanchi di tanto lavoro, proposero di noleggiare un cavallo che da solo, a trascinare giù le fascine, avrebbe fatto il lavoro di tutti; ma il cavallo costava mille lire al giorno e non tutti erano d'accordo per la spesa, e così, attorno al fuoco della calcara mentre la polenta si abbrustoliva sulle pietre roventi, si mise ai voti la proposta che per poco ebbe la maggioranza.

[...]

I ruderi sono rimasti a ricordarceli, ora che tra le pietre bruciate crescono le ortiche e le ballerine gialle vanno a costruire i loro nidi. ""


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