Frutti di bosco




[indovinate un po'? esatto: scovato anche questo da qualche parte su www.trentinoagricoltura.it :) ]


Dolomiti patrimonio dell'umanità

La notizia di oggi * è, secondo ladige.it:

I "giganti di pietra", quello straordinario "arcipelago fossile" che va sotto il nome di Dolomiti e che affascina chiunque si trovi al loro cospetto sono ora Patrimonio dell’Umanità.



Per par condicio, ecco - molto più esaurienti - le info tratte dal sito de "Il Trentino":

"Soprattutto in Trentino ci sarebbero troppe strade, troppi rifugi, troppi impianti. E troppa poca "wilderness", ovvero "selvaggità". L'"integrità", in alcuni casi, è andata a farsi friggere. Le Dolomiti Friulane, al contrario, proprio perché non "vocate" a un turismo di massa (soprattutto invernale) e non intensamente sfruttate come gli altri territori, diventano, secondo i criteri di valutazione dell'Unesco, punti di forza dell'intero progetto"


"No a mountain bike e moto sui sentieri"

"Progetto Unesco: i toponimi"

"Le esclusioni!"




* le notizie di oggi a dire il vero sono la scomparsa di Michael Jackson e di Farrah Fawcett, l'indimenticabile biondina della "Charlie's Angels": per ricordarla anticipo il nuovo sondaggio, che va ad affiancare l'attuale fino alla sua scadenza.


Modi di dire in dialetto - 12

  • L'è nà al bech
  • è andato al becco...o caprone: significato uguale a "l'è na n'asè"
  • Pitost che nar vizin a un che bate su legna vago vizin a un che caga
  • Piuttosto che avvicinarmi a chi taglia legna [col rischio che volino schegge] vado vicino a uno che fa la cacca [questa l'ho sentita da mio zio]
  • En colp al sercio e un ala bot
  • Non prendere posizione tra due fazioni, facendo affari con entrambe
  • No la me fa nè fret nè calt
  • La cosa mi lascia indifferente [non mi fa nè freddo nè caldo]
  • No me'n va e no me'n ven
  • Non me ne va nè me ne viene [tornaconto personale]


Bing!


Non sono mai stato tenero con Microsoft...[ho i miei buoni motivi :) ]

Ora - per contrastare Google, immagino - hanno prodotto Bing, motore di ricerca che direi molto simile al rivale.


Io ve lo segnalo essenzialmente perchè ogni giorno viene usata una foto di sfondo diversa, e sono tutte stupende [le risorse non mancano...]


Quanto alle ricerche, resto su Google, più per simpatia che altro.
Ho fatto una sola prova, cercando "lagorai": su G. questo blog appare nella prima pagina di risultati mentre Bing lo ignora decisamente [sarà anche che blogspot è da un paio d'anni di proprietà del rivale...]


Sondaggio attuale


Chi vorresti come vicina di casa? [femmina]


Vi confesso: quando ho messo fuori questo sondaggio non mi veniva in mente nessuna nomination...poi mi sono scervellato ed il risultato lo vedete tutti, qui sulla colonna di destra.


Col senno di poi, visti i nomi in "gara", sembrerebbe più appropriato il titolo "Chi NON vorresti come vicina di casa? [femmina]"...

[...con l'eccezione della Littizzetto, dell'orsa Jurka e magari magari di nonna Nunzia, che però ha i baffi e tiene la TV ad un volume stratosferico, quindi è comunque una pessima vicina]


Tanto che pensavo di chiuderlo anticipatamente.


Bè.

26 voti li ha raccattati, e per un blogghettino così non sono poi pochi, quindi ormai temo che ve lo dovrete tenere ancora per una settimana...

Potzmauer! [o Potz Mauer?]

Un articolo su L'Adige di sabato 21, dedicato all'avvio della stagione nei rifugi trentini, ci porta a conoscenza del neonato Rifugio Potzmauer [alcuni lo scrivono staccato - vedi titolo - io ammetto la mia ignoranza].



Il gestore è Roberto Leonardi, che "a naso" mi sembra mandasse avanti il rifugio sullo Stivo [ma non vorrei sbagliarmi, eh, non ho voglia di cercare in rete se ci ho preso o no].


Sorge in Val di Cembra, zona che probabilmente è ancora da far conoscere, sia a livello escursionistico che turistico...sarà che sta più o meno in mezzo a due valli incantevoli come la mia Valsugana e Fiemme/Fassa

:p



In agosto il "Potz" ospiterà i suoni delle Dolomiti.





Mauro Corona - Aspro e dolce

Non più brevi racconti autobiografici: questa è - intenzionalmente o meno - una vera autobiografia.


Premetto subito che tra le varie cose sue che ho letto, questa è la meno apprezzata: lo stile, la spontaneità, le tematiche sono le solite [come avete potuto leggere in qualche stralcio nei giorni scorsi]...solo che...non so, forse nemmeno io mi aspettavo di scoprire un Corona così sincero, quasi brutale in certi suoi ricordi [qualche sbronza colossale un po' molesta, qualche rapporto con l'altro sesso un po' burrascoso, per non parlare di quando si era procurato una pistola e la portava con sè...].

Dev'esser stato un gran bel bullo :)


Nel libro non mancano i momenti di riflessione profonda, i valori - primo fra tutti l'amicizia, e un'autocritica sincera agli errori del passato, spesso scaturiti dall'abuso di alcol...



Concludendo: ecco un ultimo estratto da "Aspro e dolce": mi ha fatto piacere che lui abbia così tanti ricordi del Trentino :)
E ci passi spesso...daltronde, nel mio piccolo, pure io l'ho già visto due volte a spasso per la città...




Il Festival di Trento

Il luogo mitico, deputato a incontri tra vecchi amici amanti delle vette, provenienti da tutto il mondo, è l'annuale Festival del Cinema di montagna, che si tiene a Trento nei primi giorni di maggio e che ormai ha passato i cinquant'anni di vita. In quella settimana si possono adocchiare i più forti alpinisti del pianeta, giovani rampanti e vecchie glorie, passeggiare per la città, o trovarsi al centro Santa Chiara per dibattiti, conferenze, presentazioni di libri e vedere i film in concorso. Negli otto giorni della kermesse, c'è un continuo via vai di star della montagna che, alla stregua di quelle che sfilano a Venezia o sulla Croisette di Cannes, passeggiano per Trento facendo la ruota con le code di pavoni. Per la verità ve ne sono di patetici che fanno una certa pena giacché le loro code sono di paglia.
Nell' ambito del Festival circola sotterranea l'invidia di queste code di paglia che non migliora certo l'alpinismo. Ci si consola sapendo che è così in ogni campo. Dalle società bocciofile alle gare di pesca, dalla letteratura ai circoli per fumatori di pipa, l'invidia è sempre latente. È una brutta bestia, un cancro inestirpabile, un cavallo che non si fa domare e disarciona sempre il suo proprietario. Ma non tutti a Trento fanno la ruota: vi sono alpinisti di fama mondiale, soprattutto inglesi e sudamericani, che passano al Festival con discrezione, non aprono la coda, e si fermano volentieri in osteria a bere un bicchiere con colleghi di minor gloria o totalmente sconosciuti.
Uno su tutti il grande alpinista patagonico Cesarino Fava, trentino, da Malè. Con il suo volto onesto, i suoi occhi luminosi da bambino e i lunghi capelli d'argento, pare una figura d'altri tempi. Ed è con questa categoria di persone che da oltre trent'anni mi incontro per due tre giorni nella città agli inizi di maggio. Si parla di scalate, di quelle fatte e di quelle da fare.

[...]

Nonostante qualche pavone, il Festival di Trento è un ambiente molto serio. Ciò non toglie che serate di grandi bevute, soprattutto dopo le premiazioni, non avvengano con puntualità. Nel mio caso si potrebbe scrivere un libro alto mezzo metro sugli aneddoti libagioneschi di Trento. Alcuni sono rimasti nella storia del Festival, figuracce che i giovani si tramandano come atti di eroismo, invece non ci fanno certo onore.
Nel 1995 vincemmo il premio con il film "L'uomo di legno" girato da Fulvio Mariani per la regia di Gianluigi Quarti, soggetto e sceneggiatura di Andrea Gobetti. Lo aveva prodotto la tivù svizzera italiana e raccontava, ahimè, la mia vita d'alpinista e di scultore con brani sulla tragedia del Vajont. Per l'occasione ci trovammo tutti e quattro a Trento. Quando fummo sicuri di aver vinto qualcosa la buttammo in baldoria. Si bevette di tutto. Ad un certo punto, Gobetti ed io ci addormentammo sul pavimento del salone dove erano in corso le premiazioni. Ci eravamo trascinati fin là per ricevere la patacca e i soldi. C'era un assegno consistente da ritirare. Qualcuno, scandalizzato da noi che russavamo, ci svegliò a calci e alzando la voce nel silenzio della sala gridò indignato: «Buttate fuori questi due barboni».
Intervenne una signora, a quel tempo pezzo grosso del Festival, e prese le nostre difese. «Quelli - disse brandendo il microfono - non sono barboni, ma ospiti donore.»
Allora tutti ci guardarono con un po' più di umanità.

Fulvio Mariani si levò in piedi stizzito e dette dell'asino a gran voce al presidente di giuria perché, secondo lui, meritavamo più di un premio. Nel grande salone la situazione stava diventando incandescente e solo l'intervento di amici impedì che si passasse ai fatti. Gobetti ed io, che più di tutti, chissà perché, ci sentivamo defraudati, avevamo intenzioni bellicose. Alla fine ci cacciarono ma ormai tenevamo ben stretto il bottino.
Quel filmetto ebbe una fortuna esagerata. Si piazzò al primo posto in quasi tutti i festival dei cinema di montagna che si tengono qua e là per il mondo.

[...]


Dilemmi...



Partire o restare?

Non c'è dubbio, oggi si va, e speriamo che il meteo "resti su".


Il dilemma del titolo è "passare o non passare, a votare"



Uffffffffffff...non potevano far coincidere il referendum con le elezioni europee?
Maledetti giochi politici!


Latte/formaggio




[scovato da qualche parte su www.trentinoagricoltura.it]


Modi di dire in dialetto - 11

  • Tacar su el capel
  • Sistemarsi [sposarsi]
  • San come 'n pesàt
  • Sano come un pesce
  • San come na cornàl
  • Sano come il frutto dell'albero del corniolo [questa ho dovuto farmela spiegare]
  • L'è nà for de bareta
  • E' impazzito
  • Quel lì no l'è tut a piombo
  • Quello non è del tutto a posto



Siepi



[scovato da qualche parte su www.trentinoagricoltura.it]


Totem

Sono affascinato dai totem, simbolo misterioso della cultura dei pellirosse, nativi americani.

In alta Val di Non la strada provinciale passa davanti ad una villetta che ne ha un paio piantati nel giardino anteriore...




[foto tratta da totem-pole.net]

Ancora Corona...stavolta a Predazzo

[...]

Verso sera, in libera uscita, girai per le osterie di Predazzo. Ne ricordo una stupenda, vecchia e accogliente, con pavimento in legno e stufa in ghisa che spandeva un calore familiare da vecchi tempi.
Era il bar Trento, con annesso negozio di alimentari. Frequentato da una pittoresca clientela di bevitori, ricordava vagamente il G91, ma era più antico e meno turbolento. Mi fermai parecchie ore tanto da suscitare le simpatie del padrone, un uomo grosso e gentile. Quando capì che la sbornia mi stava avvolgendo come un lenzuolo, ogni tanto spariva nel retro e tornava porgendomi una scaglia di formaggio grana.

[...]

Poco tempo fa sono stato invitato da una libreria di Predazzo a presentare il mio ultimo libro "Nel legno e nella pietra". Di proposito ho voluto recarmi lassù con qualche ora di anticipo per cercare il bar Trento. Volevo trascorrere qualche ora tra i ricordi di quel luogo e di quel tempo. Ma non riuscivo a capire dove fosse. In un'osteria ho chiesto a gente anziana se potevano indicarmi almeno una traccia.
«Non c'è più il bar Trento - mi ha risposto un signore sui settant'anni - se vuole l'accompagno dove si trovava, è qui vicino.» Infatti, dopo nemmeno duecento metri, vagamente riconobbi la via in leggera discesa laterale alla piazza. «Lì era il bar Trento» disse la mia guida puntando il dito verso una moderna costruzione a vetri scuri.

Guardai attentamente.

Era una banca.

Jurka...un "marchio"

[foto di Ansel - l'animale è narcotizzato]


Jurka - l'orsa - credo sia ancora nella sua gabbiona al Casteller [i giornali non ne parlano più molto spesso quindi immagino sia così].
Ma se lei, l'animale, viene nominata sempre meno, il suo nome pare essere molto gettonato a livello mediatico: ecco alcuni esempi.



C'è il blog [carino] Jurka e Bruno - Due orsi in libertà, che però da un anno e mezzo ha traslocato.


L'estate scorsa il suo nome era stato registrato in Camera di Commercio come "Jurka, che frutta!", per commercializzare piccoli frutti della Valsugana [se non ricordo male]. Operazione opinabile, secondo me.


Recentissimamente è nato Jurka!, portale-blog-contenitore per studenti universitari dell'ateneo trentino.



Restando in argomento "orso", Jurka ma anche tutti gli altri, mentre googlavo ho trovato "Controversia orso bruno trentino": sembra una tesi di Sociologia ben fatta, con valutazione d'impatto della reintroduzione dei plantigradi; interviste ai vari attori [politici di destra e sinistra, apicoltori-allevatori, forestali, albergatori, ambientalisti...non sempre le risposte sono scontate, vi consiglio di leggervele]; varie analisi tra cui quella commerciale; le foto dell'orsa Jurka in cattività [quando era a San Romedio, credo].

Il blog è stato pubblicato interamente nel dicembre 2008: vi consiglio di andare a dargli un'occhiata. Molto ben fatto, secondo me.

Orso in Primiero

Da l'Adige di venerdì scorso

[Circa un mesetto fa era sembrato di averlo avvistato al limitare del bosco ad un uomo del Tesino, dal balcone di casa: le ricerche delle tracce però avevano dato esiti negativi...magari effettivamente c'era ed è lo stesso animale]


Wishlist - Trekking delle leggende


Il trekking delle leggende

Non sarebbe male riuscire a fare l'intero anello.



[Varie info sparse in giro per il web: ecco il .pdf; e qui un punto di vista non istituzionale]


Prodotto Interno [Lordo?]

Visto che pochi mesi fa, in vista dell'imminente crisi [imminente? vaboh] il presidente Dellai aveva invitato a consumare prodotti locali


visto che ho sdoganato la possibilità di far pubblicità - purchè con un certo stile, perdiana! - sul blog


e visto che il prodotto seguente, in tutte le sue varianti, mi ha sempre appassionato, fin da quando ero in fasce ;)


...ecco qua una bella carrellata dei vini tipici trentini.



Io sono un tipo da teroldego, un bel rosso corposo...e voi, che mi dite?



[immagini e informazioni tratte da "La magia del vino.pdf"]




















Un giretto fino a Passo Portella









Ho qualche altra foto simile a quelle dell'ultima volta...qui però siamo in Valcava dove stanno costruendo un acquedotto e relativa rete idrica.

Per carità, finiti i lavori metteranno sicuramente apposto, ma per ora il colpo d'occhio è quello che è (abituati a com'era prima...)



C'è anche qualche nota di colore, tipo gli asinelli - ti autorizzo a metterli su Flickr :-)


Ciao
TrentinoWilderness (TW)



Ah dimenticavo, c'è su ancora parecchia neve al passo.



Foto sotto: slitta tipica dell'arte povera alpina, fatta con dò asòti (due sci vecchi)

Sempre al G91



[…] una sera al G91, si sfiorò la battaglia. Quantomeno la si iniziò.

lo giocavo con Furìn, un ertano sui cinquanta, morrista più che abile, ma non ai livelli dell'avvocato. Che ci stava di fronte in toga da avversario, coadiuvato da un macellaio originario della Val di Non, largo quanto un camion, dal viso rosso cupo come un caco. Furìn aveva inventato un sistema per barare e rubare così qualche punto all'avvocato. Quando chiamava otto, invece di pronunciare il numero nitidamente, sbraitava: «Uottro» in modo che, a seconda del numero gridato dal legale, Furìn poteva affermare di aver detto otto oppure quattro. Perché uottro dà un suono che assomiglia a otto ma anche a quattro. Basta saperlo gridare con il gargarismo giusto e il trucco è fatto. Difficilmente l'avversario, nella concitazione delle voci, distingue se è l'uno o l'altro. Ma il principe del foro teneva orecchio fino, e anche se racchiuso in un corpo di dimensioni lillipuziane, il suo spirito era piuttosto aggressivo. All'ennesimo uottro tirò il bicchiere, anzi il contenuto, in faccia a Furìn. Il quale afferrò l'uomo di legge per la cravatta (era sempre vestito impeccabilmente, l'avvocato) e lo tirò di qua del tavolo. Il suo compagno, il Tir della Val di Non, a sua volta afferrò Furìn. Allora io saltai sulla schiena del macellaio. Era come stare sul dòrso di un elefante. Con uno scrollone il bestione mi fece rotolare in terra. Gli ertani intervennero. Pino, Giorgio, Svalt il Rosso, Pinotto, Livio si gettarono nella mischia. Ognuno cercò nell'opposta fazione un avversario. Volò qualche bottiglia, una sedia, dei bicchieri. Eravamo tutti sbronzi e la faccenda stava prendendo brutta piega. Filai dietro al bancone dove si trovava il famoso cassetto. Tornai in mischia pistola alla mano. Contro lo sputa fuoco i pugni contano poco. Sapevo che era scarica, ma faceva scena.

Come se non ce ne fosse abbastanza di casino, ci si mise pure il gestore. Apparve sul bancone in perfetto stile western, imbracciando un aggeggio che pareva un cannone. Intimò il fermi tutti. Nessuno gli dette retta.
A quel punto una voce di tuono si levò dal tafferuglio superando ogni fracasso. Tintinnarono i bicchieri e vibrarono i vetri. Il nostro impresario, l'ertano Cice Mela, dall'alto del suo metro e novanta per cento chili, urlò un terrificante: «Basta!». All'improvviso ci fu silenzio. Il grido era stato così potente e imperativo che la rissa si fermò di colpo. Capimmo che era meglio finirla.
Cice afferrò Furìn per il bavero sollevandolo come un piumino: «Non ti permettere più di imbrogliare - sibilò o ti schiaccio come una mosca. Noi siamo gente a posto. Stiamo qui per giocare onestamente e onestamente da qui ce ne andremo. Con le nostre gambe, e senza lasciare cattivi ricordi».
Quella sera il gioco finì lì. Alcuni se ne andarono brontolando, altri si strinsero la mano in segno di pace.

Rimisi la pistola al suo posto. Il grassone che pareva un Tir mi batté una mano sulla spalla dicendo: «E tu, giovanotto, se proprio vuoi farti male cercati un altro sistema. Non montare mai più sulle mie spalle o saranno guai, capito?».
«Potevi farti male tu - gli dissi - avevo una pistola.»
«Sì, ma scarica. Sono tutte scariche. Avevi in mano un pezzo di ferro.»
«Una chiave inglese che potevo benissimo darti in testa» dissi.
«Se ci provavi te la facevo mangiare, putelòto (bambino).»

Passato il pericolo, seguitammo a bere fino alle due di notte e l'armonia tornò tra di noi come il sole dopo il temporale. Ma per me i rischi non erano ancora finiti. Per rientrare al cantiere si doveva percorrere un sentierino che dalla statale menava alla baracca passando sotto la gru, tra il banco dei ferraioli e il condominio in costruzione. Alla fine del percorso, sulla sinistra, c'era una buca profonda tre metri e larga due, irta di lance le cui punte acuminate guardavano la luna. Erano gli scarti del ferro per armare pilastri e solette, spezzoni lunghi anche un metro e mezzo buttati alla rinfusa nella fossa.

Con la sbornia che avevo non mi ricordai della voragine, e la fioca luce di una lampada appesa all'angolo della baracca non arrivava a fare chiaro fin là. Così tirai dritto verso la fossa. Avevo già messo un piede sul vuoto, quando sentii una mano afferrarmi per il colletto della giacca a vento e sollevarmi come una gru. Cice Mela s'era accorto appena in tempo che stavo per finire nel buco dove una sfilza di giavellotti mi avrebbe sforacchiato come un colapasta.

[…]

Arrivò aprile, i cuculi cantarono. Lasciai Trento e iniziai il lavoro alla cava di marmo. Dopo molti anni, quando già facevo lo scultore a tempo pieno, e la mia vita era cambiata in meglio, e Trento con il G91 erano finiti nel dimenticatoio, incontrai uno del gruppo. Teneva un giornale sottobraccio.
«Tò - disse porgendomelo - leggi, me lo hanno spedito.» Era il settimanale "Cronaca Vera". «Cosa c'è?» domandai al tipo. «Leggi» rispose.
Lo sfogliai distrattamente, fino a quando non comparve un titolo. Ora non ricordo bene, ma diceva più o meno così: "Trento. Dopo un'irruzione della polizia, chiuso il bar G91. Sequestrate armi e munizioni nonché documenti che proverebbero legami con l'estrema destra".

A me non interessava chi si riuniva o che cosa si tramasse in quel bar, mi dispiacque che lo avessero chiuso. Al G91 avevo trascorso le sere per diversi mesi e tutti ci volevano bene e ci rispettavano. Salvo quella notte dell"'uottro" che generò il tafferuglio, non era mai successo niente. Andai con la mente all'avvocato che declamava l'Ariosto, al gestore armaiolo che portava un pizzetto alla Mefisto, agli altri amici avventori abituali, tra i quali il macellaio della Val di Non. Chissà che fine avrà fatto tutta quella gente pittoresca e piena di fantasia. La sera che si rischiò la rissa, trasmettevano alla televisione la notizia della bomba di Piazza Fontana. Credo fosse il 12 dicembre '69.

Vorrei andare un giorno in quel di Trento, a cercare il G91, o ciò che resta, o quantomeno il luogo dove stava. Per tornare con il ricordo, verso la gioventù, nella nostra bettola dove si radunavano i morristi della zona. Magari troverò una banca, un barbiere, un panettiere o addirittura un supermarket. Chissà. Forse è meglio ricordarlo così com'era, con la sua umanità, il suo calore, i suoi personaggi, il simpatico gestore collezionista d'armi. E, perché no, i suoi misteri, le cantate e quel Teroldego forte e nobile che alla sera scorreva a fiumi.

Prima di partire per la cava in primavera, al G91 mi avvicinò un tizio che conoscevo e mi porse una scatola da scarpe chiusa con lo spago. «Tieni - disse - dammi ventimila lire, ma io non so niente né ti ho mai visto». In baracca tagliai lo spago e sollevai il coperchio. Apparve ciò che immaginavo: un revolver a tamburo calibro nove e un sacchetto di cartucce. Portai a casa il ferro e lo nascosi in soffitta sotto una trave del tetto. Con quell'arma e qualche bottiglione di vino rischiai di fare guai grossi. Ma occorre procedere con ordine.


La collezione di ...

La mania delle collezioni [da cui non sono immune, eh] mi ha sempre fatto sorridere.

Da bambini - complice l'industria televisiva - era tutto un fervere di scambi: figurine di calciatori, puffi, sorpresine o gadget delle patatine.

Nessuno sfuggiva alle dure leggi del marketing, farlo avrebbe significato l'emarginazione sociale che a qualsiasi età è terribile; figuriamoci a 7 anni.


Io comunque volevo fare lo snob: niente calciatori: collezionavo le figurine delle bellezze [naturali, artistiche] d'Italia. Forse in qualche scatolone ho ancora l'album, mai finito.

Collezionavo anche tatuaggi, quelli applicabili con un po' d'acqua: li ho ritrovati un paio di mesi fa, assolutamente cartapecorizzati.


[Piccolo inciso: crescendo ero passato a collezionare le mitiche manine appiccicose di gomma, più avanti le etichette delle birre, più avanti le ragazze...no, dai, scherzo, però mi sarebbe piaciuto...]



Insomma, e adesso cosa mi son ridotto a raccogliere? Specchio della nostra società [e di un leggero [leggero?] nerdismo], colleziono i loghi di Google. Non che ne vada fiero, eh.




PS. tornando alla prima frase di questo post: un'altra collezione che mi ha sempre fatto sorridere? La mitica collezione di farfalle. Mai vista una, nemmeno in un museo, ne ho solo sentito parlare in TV, in quei telefilm anni '50 in cui si invitava - con una marea di sottintesi - una ragazza a casa per ammirare appunto le farfalle in questione. Ora, con il progresso [cioè inquinamento cioè drastica diminuzione della biodiversità] avrei qualche dubbio che si possa iniziare una raccolta del genere.

Al G91

Ecco un estratto da "Aspro e dolce" di Mauro Corona: il bar di cui si parla credo esista ancora.







D'inverno, quando la cava chiudeva i battenti, mi arrangiavo in lavoretti occasionali, ma erano impieghi che duravano poco, al massimo fino al canto del cuculo. Era giusto un espediente per non dare fondo ai risparmi di sette mesi passati a spaccar pietre sul monte Buscada. Ma, soprattutto, cercavo un lavoro per non trascorrere l'inverno da un'osteria all'altra. Qualche ora, è vero, la dedicavo alla scultura in legno per imparare le tecniche, ma la tentazione di bighellonare con i sette compagnoni per i bar della valle era sempre in agguato.

[…]

L'inverno del '69 lo trascorsi a Trento come manovale di terza categoria, nell'impresa dell'ertano Cice Corona Mela. C'era da tirare su un condominio di nove appartamenti. Il cantiere si trovava in via Bolognini, sulla sinistra orografica del torrente Felsina. La gente della zona ci battezzò i formichieri, perché si lavorava da buio a buio, a uso formiche. Eravamo una decina tra carpentieri, muratori e ferraioli, tutti ertani. Manovali solo tre: io, Pino e Pinotto. I vicini, mossi a pietà dal nostro lavorare al freddo, ogni tanto ci regalavano bottiglioni di vino e grappa. Mangiavamo e dormivamo in una baracca di legno adiacente il cantiere. Il vecchio Lilàn, padre di Cice, preparava i pasti. Era vita dura anche lì ma, rispetto alla cava, una vacanza.
Di sera, dopo cena, si andava a bere qualcosa e giocare a morra in un bar mitico che portava il nome, credo, di un aereo da caccia, il G91. Frequentato dai personaggi più disparati e pittoreschi, lo avevamo eletto a nostro punto di ritrovo. Bazzicavamo altri bar di Trento, soprattutto la Cantinotta, ma il G91 si distingueva per tolleranza all'ubriaco e tipo di avventori, perciò godeva della nostra preferenza.
C'era un avvocato sui quaranta, abbandonato dalla moglie, che si era dato al bere. Aveva una cultura vastissima e spesso si metteva a recitare l'Orlando furioso con piglio d'attore consumato. «Le donne, i cavalier, l'arme, gli amori» esordiva, e beveva bianco. Se qualcuno gli diceva di smetterla perché aveva rotto i coglioni, rispondeva sempre al plurale: «Zitti voi, barbari, non toccatemi l' Ariosto».
Al G91 entravano tipi incredibili: politici, nobili decaduti, ciarlatani, artisti falliti (ma chi non lo è), bevitori inveterati, giovani sbandati, capelloni e quant'altro. Tutta gente con la disfatta seduta sulla spalla. Ma il clima del locale aveva un che di bello, familiare, accogliente, non privo di un certo mistero. Noi ertani eravamo stimati e benvoluti perché non ci impicciavamo nelle robe altrui, e se notavamo qualcosa di strano, tenevamo il becco chiuso. Non per vigliaccheria, omertà o complicità. No, volevamo badare ai fatti nostri e basta. Se tutti si facessero gli affari loro il mondo funzionerebbe meglio.
Ad esempio, sapevamo che il gestore del G91 teneva dietro al bancone un cassetto pieno d'armi, soprattutto revolver a tamburo e pistole. Ogni tanto me le faceva vedere. Le teneva coperte con un tovagliolo. Ma erano affari suoi, a noi non interessavano le sue faccende. Andavamo là per giocare a morra, bere vino e stop. Una volta gli domandai di comperare una pistola a tamburo, ma il prezzo
che mi chiese non era a portata delle mie tasche. Allora disse di pazientare qualche tempo che me ne avrebbe procurata una a buon mercato.
In quel periodo, al G91 di sera si radunavano i giocatori di morra più famosi della zona perché era corsa voce che gli ertani erano imbattibili. Infatti vincevamo quasi tutte le partite. Ci davamo il cambio due per volta. Quando una coppia era stufa, subentrava l'altra a sfidare i trentini. La posta di ogni partita era un litro di vino da dividere con gli spettatori e colui che teneva i punti.
L'avvocato che declamava l'Ariosto era un morrista formidabile. L'unico a farci paura. Psicologo raffinato, intuitore, eccellente conoscitore di caratteri, dotato di una memoria inconcepibile in un bevitore, ci aveva schedato tutti. Di ognuno conosceva tendenze e ripetizioni. Sapeva che io, dopo tre battute, tendevo a uscire con l'uno. Ma anch'io sapevo che mi avrebbe fregato proprio lì, perciò alla quarta battuta cambiavo numero. Ma lui sapeva che sapevo, e che avrei cambiato numero. E sapeva pure i numeri che avrei cambiato e in che ordine li avrei messi giù. A morra si tende a ripetersi meccanicamente perché è così veloce che non vi è tempo per ripensamenti. La morra è gioco di scacchi gridato. Bisogna immaginare la mossa dell'avversario, rappresentata dal numero, fare mentalmente la somma con il tuo e battere tavolo chiamando il totale. Ma anche l'avversario fa lo stesso ragionamento, perciò cambia il numero che tu pensavi chiamasse. E così via per una sfilza infinita di mosse e contromosse, numeri e contronumeri. Chi ha più memoria, intelligenza, capacità di sintesi e colpo d'occhio diventa il morrista fuoriclasse.

[…]





PS. Felsina? Assolviamo il buon Corona, dopo 40 anni la memoria può facilmente far cambiare consonante...




“Il cacciatore delle Alpi - Da predatore a gestore"


"" Dopo il successo della mostra dedicata agli abiti e ai costumi del Tirolo Storico, esposizione che ha totalizzato 12.386 visitatori, il Centro Documentazione Luserna vuol far conoscere ad un largo pubblico la storia dell’attività venatoria nelle Alpi come fenomeno culturale e sociale, oltre che economico, che ha accompagnato la storia delle popolazioni di questa terra.

[...]

La mostra verrà inaugurata il giorno lunedì 13 aprile 2009 ad ore 16,00 e resterà aperta fino al giorno lunedì 2 novembre 2009. Riaprirà nel periodo 26 dicembre 2009 – 6 gennaio 2010. ""



Mario Rigoni Stern - La calcara






Mario Rigoni Stern - La calcara

"" Oltre alle tracce delle carbonaie e dei baiti dei carbonai che arrivano fino ai limiti della vegetazione arborea, uno che gira le montagne e le osserva nel paesaggio e nei segni lasciati dagli interventi dell’uomo, può notare anche dei manufatti di cui, forse, non sa rendersi ragione: sono delle costruzioni cilindriche a cielo aperto alte tra i tre e i sei metri, dal diametro di quattro o cinque passi, completamente vuote e senza segni di travature o di malte o di mensole per suppellettili; una bassa apertura ad arco fa d’entrata e i sassi della costruzione a secco hanno nell’interno un colore brunastro che li fa distinguere da tutti gli altri intorno.

Di solito questi edifici sorgono al confluire dei sentieri al limite dei boschi in declivio, o dove si chiude una piccola valle, o sovrastanti una strada; di comune a tutti c'è però la relativa facilità d'accesso: quanto meno una carrareccia, e una specie di piano inclinato o un terrapieno che raccorda la sommità al pendio a monte. Non si tratta di stalle o di ricoveri per le persone, né di case dei tempi remoti, ma semplicemente delle calcare dove si cucinavano i sassi per fare la calce.
Si usavano fino a una trentina di anni fa, non secoli, e la calce che veniva qui rusticamente prodotta servita anche a ricostruire le case d'Italia disastrate dalla guerra, e i paesi delle Alpi bruciati per rappresaglia dai tedeschi durante la lotta partigiana.

Avvenne che proprio in questi mesi, nel 1945, ritornata la pace e restando tanto da ricostruire, si unirono insieme gruppi di compaesani ex partigiani o reduci scalcagnati che ancora avevano un po’ di forza e tanta volontà da lavorare, e nei boschi si misero a raccogliere la ramaglia rimasta sul letto di caduta dopo i tagli degli alberi, e legarla a fasci con rami verdi d’abete e farne grandi cataste mentre altri della squadra esperti in muratura provvedevano a costruire la calcara.

Terminato l'edificio circolare, che aveva l'aspetto di una piccola torre senza merlature e feritoie, bisognava raccogliere e trasportare nei pressi, con le slitte a mano, grandi quantità di sassi provenienti dalle rocce sedimentarie contenenti una buona quantità di calcite, a centinaia di quintali, e poi posarli in ordine e con arte particolare dentro il cilindro costruito con le pietre che faceva da forno di cottura.

Si partiva dalla base posando attorno alla circonferenza le pietre più piccole e regolari come piano d’imposta e, sempre con le pietre scelte con arte ma aumentando progressivamente la misura, si provvedeva a costruire la cupola che poi si chiudeva al centro con i sassi più grossi incastrati a chiave di volta: il vuoto che restava sotto, di qualche metro cubo, era poi il fornello di combustione. Lo spazio che restava sopra, lungo tutto il cilindro e i cui interstizi esterni tra pietra e pietra venivano chiusi con creta, si riempiva di sassi calcari che non dovevano essere buttati giù a casaccio ma disposti in modo che tra l'uno e l’altro rimanessero dei vuoti per far passare il calore e permettere l’evaporazione e, anche, l'uno con l'altro tenuti come cunei in mutuo contrasto, in modo da non far crollare la massa durante la trasformazione per calore.

Arrivati in cima si procedeva a coprire l'ultimo strato di sassi con uno di creta; e sotto accendeva il fuoco che per cinque o sei giorni doveva durare ininterrotto e forte. Per provvedere alla sua fame di legna si trascinavano giù dai ripidi sentieri le centinaia e centinaia di fascine che venivano caricate nove alla volta sulle slitte storte, attrezzi tutti in legno con la base di carico molto bassa le cui stanghe per il tiro erano rami vivi incorporati nei pattini. Ma per la scomodità e la distanza certe volte non si riusciva a fare più di cinque o sei viaggi tra l’alba e il tramonto, e quasi senza soste.
Una sera un gruppo di amici, stanchi di tanto lavoro, proposero di noleggiare un cavallo che da solo, a trascinare giù le fascine, avrebbe fatto il lavoro di tutti; ma il cavallo costava mille lire al giorno e non tutti erano d'accordo per la spesa, e così, attorno al fuoco della calcara mentre la polenta si abbrustoliva sulle pietre roventi, si mise ai voti la proposta che per poco ebbe la maggioranza.

[...]

I ruderi sono rimasti a ricordarceli, ora che tra le pietre bruciate crescono le ortiche e le ballerine gialle vanno a costruire i loro nidi. ""


Wishlist - Il migliore amico dell'orso di Arto Paasilinna

Inauguro una nuova "rubrica" [con relativa etichetta]: un post per ogni libro che mi piacerebbe leggere; per ogni trekking che vorrei fare; per ogni posto dove vorrei andare a cenare...

[vi ricordo che ho recentemente sdoganato la pubblicità su questo blog :) ]



Il migliore amico dell'orso di Arto Paasilinna

"Satanasso seguiva attentamente la disposizione di piatti, bicchieri e posate cercando di rendersi utile. Capitò che si rompessero delle stoviglie e che la zuppa si rovesciasse per terra, ma in quel caso l'orso ripuliva sempre il pavimento con la lingua e si rimetteva al lavoro. Sonja gli insegnò a tenere su una zampa per ogni evenienza un tovagliolo ripiegato, che gli dava l'aria di un perfetto cameriere. Dopo il pasto gli era consentito portare le stoviglie sporche in cucina e spazzare le briciole dalla tavola con il suo canovaccio. Con cui, a volte, si ripuliva anche il didietro."


Alcune recensioni su: Iperborea [con tanto di .pdf] e Wuz

Modern life is rubbish

Il buon (buon??) Bersntol aveva promesso di non scrivere più a proposito della Val dei Mocheni.

Se non ricordo male, aveva anche detto che non ci sarebbe più andato a camminare...e qui magari avrei qualche sassolino nella scarpa, ma dai, devo dire che è stato abbastanza coerente.


Io che son meno idealista di lui comunque ci vado: bè, a volte penso che non abbia tutti i torti

TW




Che scena bucolica coi crochi fioriti...


...magari se non ci passassero sopra con la jeep



Grappetta sul sentiero SAT



Un bottiglione di orrido vinaccio nel pascolo di malga Cambroncoi



Lattine abbandonate sotto malga Pec





Prima che qualcuno pensi male, per le immondizie ho fatto quel che ho potuto (cioè ho portato a casa la grappettina vuota e una bottiglietta di plastica...le birre avevo briga di andar su a prenderle e il bottiglione, ostrega, nello zaino non ci stava)