Mauro Corona - Aspro e dolce

Non più brevi racconti autobiografici: questa è - intenzionalmente o meno - una vera autobiografia.


Premetto subito che tra le varie cose sue che ho letto, questa è la meno apprezzata: lo stile, la spontaneità, le tematiche sono le solite [come avete potuto leggere in qualche stralcio nei giorni scorsi]...solo che...non so, forse nemmeno io mi aspettavo di scoprire un Corona così sincero, quasi brutale in certi suoi ricordi [qualche sbronza colossale un po' molesta, qualche rapporto con l'altro sesso un po' burrascoso, per non parlare di quando si era procurato una pistola e la portava con sè...].

Dev'esser stato un gran bel bullo :)


Nel libro non mancano i momenti di riflessione profonda, i valori - primo fra tutti l'amicizia, e un'autocritica sincera agli errori del passato, spesso scaturiti dall'abuso di alcol...



Concludendo: ecco un ultimo estratto da "Aspro e dolce": mi ha fatto piacere che lui abbia così tanti ricordi del Trentino :)
E ci passi spesso...daltronde, nel mio piccolo, pure io l'ho già visto due volte a spasso per la città...




Il Festival di Trento

Il luogo mitico, deputato a incontri tra vecchi amici amanti delle vette, provenienti da tutto il mondo, è l'annuale Festival del Cinema di montagna, che si tiene a Trento nei primi giorni di maggio e che ormai ha passato i cinquant'anni di vita. In quella settimana si possono adocchiare i più forti alpinisti del pianeta, giovani rampanti e vecchie glorie, passeggiare per la città, o trovarsi al centro Santa Chiara per dibattiti, conferenze, presentazioni di libri e vedere i film in concorso. Negli otto giorni della kermesse, c'è un continuo via vai di star della montagna che, alla stregua di quelle che sfilano a Venezia o sulla Croisette di Cannes, passeggiano per Trento facendo la ruota con le code di pavoni. Per la verità ve ne sono di patetici che fanno una certa pena giacché le loro code sono di paglia.
Nell' ambito del Festival circola sotterranea l'invidia di queste code di paglia che non migliora certo l'alpinismo. Ci si consola sapendo che è così in ogni campo. Dalle società bocciofile alle gare di pesca, dalla letteratura ai circoli per fumatori di pipa, l'invidia è sempre latente. È una brutta bestia, un cancro inestirpabile, un cavallo che non si fa domare e disarciona sempre il suo proprietario. Ma non tutti a Trento fanno la ruota: vi sono alpinisti di fama mondiale, soprattutto inglesi e sudamericani, che passano al Festival con discrezione, non aprono la coda, e si fermano volentieri in osteria a bere un bicchiere con colleghi di minor gloria o totalmente sconosciuti.
Uno su tutti il grande alpinista patagonico Cesarino Fava, trentino, da Malè. Con il suo volto onesto, i suoi occhi luminosi da bambino e i lunghi capelli d'argento, pare una figura d'altri tempi. Ed è con questa categoria di persone che da oltre trent'anni mi incontro per due tre giorni nella città agli inizi di maggio. Si parla di scalate, di quelle fatte e di quelle da fare.

[...]

Nonostante qualche pavone, il Festival di Trento è un ambiente molto serio. Ciò non toglie che serate di grandi bevute, soprattutto dopo le premiazioni, non avvengano con puntualità. Nel mio caso si potrebbe scrivere un libro alto mezzo metro sugli aneddoti libagioneschi di Trento. Alcuni sono rimasti nella storia del Festival, figuracce che i giovani si tramandano come atti di eroismo, invece non ci fanno certo onore.
Nel 1995 vincemmo il premio con il film "L'uomo di legno" girato da Fulvio Mariani per la regia di Gianluigi Quarti, soggetto e sceneggiatura di Andrea Gobetti. Lo aveva prodotto la tivù svizzera italiana e raccontava, ahimè, la mia vita d'alpinista e di scultore con brani sulla tragedia del Vajont. Per l'occasione ci trovammo tutti e quattro a Trento. Quando fummo sicuri di aver vinto qualcosa la buttammo in baldoria. Si bevette di tutto. Ad un certo punto, Gobetti ed io ci addormentammo sul pavimento del salone dove erano in corso le premiazioni. Ci eravamo trascinati fin là per ricevere la patacca e i soldi. C'era un assegno consistente da ritirare. Qualcuno, scandalizzato da noi che russavamo, ci svegliò a calci e alzando la voce nel silenzio della sala gridò indignato: «Buttate fuori questi due barboni».
Intervenne una signora, a quel tempo pezzo grosso del Festival, e prese le nostre difese. «Quelli - disse brandendo il microfono - non sono barboni, ma ospiti donore.»
Allora tutti ci guardarono con un po' più di umanità.

Fulvio Mariani si levò in piedi stizzito e dette dell'asino a gran voce al presidente di giuria perché, secondo lui, meritavamo più di un premio. Nel grande salone la situazione stava diventando incandescente e solo l'intervento di amici impedì che si passasse ai fatti. Gobetti ed io, che più di tutti, chissà perché, ci sentivamo defraudati, avevamo intenzioni bellicose. Alla fine ci cacciarono ma ormai tenevamo ben stretto il bottino.
Quel filmetto ebbe una fortuna esagerata. Si piazzò al primo posto in quasi tutti i festival dei cinema di montagna che si tengono qua e là per il mondo.

[...]


4 commenti:

Anonimo ha detto...

Ma l'hai letto Storia di Neve? E' "leggermente" esagerato.. troppo violento e crudo.. bah!

Misty

Bersn ha detto...

Non l'ho letto...

...forse il buon Corona sta un po' esaurendo gli argomenti

Anonimo ha detto...

Che ne direste di leggere un libro vero??

http://deastore.com/libro/vajont-l-onda-lunga-quarantacinque-anni-lucia-vastano-ponte-alle-grazie/9788879289702.html#top

Anonimo ha detto...

L'amico ertano è diventato da tempo ripetitivo...Andy